AMERICAN DUST Richard Brautigan




 Titolo: American Dust Prima che il vento si porti via tutto
 Autore: Richard Brautigan
 Editore: Isbn
 Pagine: 109
 Prezzo: 10,00
Traduzione: Enrico Monti






Arrivano tutte le sere, d'estate. Scaricano da un furgoncino un divano, tavolini e lampade. Ricostruiscono sulla riva del lago il salotto di casa. E pescano.
L'alcolizzato abita in una baracca. I ragazzi vanno da lui a raccattare i vuoti per rivenderseli e comprarsi qualcosa, un hamburger oppure una scatola di proiettili. La Seconda guerra mondiale è finita e nessuno fa caso a un adolescente con un fucile sottobraccio, fermo a una stazione di servizio.
Il ragazzino è un uomo e ricorda, prima che il vento si porti via tutto, l'America e i suoi sogni, l'alcolizzato e le sue bottiglie, i due sul divano in riva al lago, la figlia dell'impresario di pompe funebri e l'odore di gas in casa. La scelta, leggera e terribile, tra un hamburger e proiettili, un colpo di fucile in un campo di meli e l'amico bello e ferito, lasciato lì a morire dissanguato.
Questo romanzo - l'ultimo pubblicato in vita da Richard Brautigan, uno dei più originali scrittori della controcultura californiana - è un'elegia costruita quasi in forma di giallo, in cui l'infanzia e la morte danzano insieme, avvolte nella polvere del sogno americano.




Dopo aver letto  Una certa idea di mondo dove Baricco scrive di America Dust: «è un libro scritto con una leggerezza magnifica, e una tristezza che non è triste mai» ho deciso di comprarlo subito.
Ho fatto benissimo, perché sono cento pagine di meraviglia vista dagli occhi di un bambino diventato adulto. Una sorta di confessione onirica che attraverso dei ricordi ben giostrati si dispiega tra passato e presente, tra presente e futuro in un'armonia perfetta.
Il tutto amalgamato da una scrittura semplice, ma piena di sfumature dove la scelta di un bambino, all'apparenza di una banalità disarmante (hamburger o una scatola di proiettili?) cambia tutto, la sua vita e quella di chi lo circonda.
La morte pervade tutto il romanzo, ma non è una morte come la intendiamo noi, è vista dagli occhi di un bambino, che in teoria non dovrebbe nemmeno vederla, ma quella spunta dappertutto obbligandolo ad affrontarla a modo suo.
Nonostante la vita di questo bambino sia avvolta dalla tristezza, dalla povertà e dal poco amore, lui vede tutto con gioia, trova il bello in ogni cosa: in una carrozzina di vuoti a rendere, in una scatola umida di vermi, in un lago zeppo di persici sole, in due grassoni seduti sul divano a pescare, nei sogni di un amico, in un vecchio alcolizzato a guardia di una segheria, in un pontile con attraccata una barchetta e in un campo di mele marce.
Una malinconia piacevole che ti tiene aggrappato a quelle pagine sperando in un e vissero felici e contenti che non arriva mai e si sa dall'inizio che tutto finisce male, che la disgrazia sta per giungere, ma la speranza rimane fino in fondo a rotolarsi tra la morte, la polvere e il vento che porta via tutto.
Baricco dice che arrivato all'ultima pagina di American Dust chiuse il libro e se ne rimase un po' a rigirarselo nelle mani, senza muoversi, rimanendo lì: "…nella privata e solitaria liturgia del leggere, quello, è l'equivalente della standing ovation nei teatri".
Beh, io pure ho fatto la mia di ovazione a Richard Brautigan, e se la merita tutta.



“Ogni volta che sentivo la parola polmonite, mi si drizzavano le orecchie. Mi sembrava un modo orribile di morire. Non volevo che i polmoni mi si riempissero di acqua e che finissi per morire da solo, affogato, non in un fiume o in un lago, ma in me stesso.”








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